A proposito di Magma 6

Magma Magazine inaugura il 2024 con un corposo numero di quasi 300 pagine; quale è il tema di questo numero?

Il tema di Magma 6 sono gli esseri umani; la rappresentazione del concetto di umanità, come insieme dei caratteri essenziali e distintivi della specie umana; non tanto in riferimento alle proprietà, alle qualità ed ai limiti intellettuali e morali propri dell’essere umano, quanto alle manifestazioni e, soprattutto, alle rappresentazioni di tale condizione. Sin dalla notte dei tempi, da quando ha preso coscienza di sé, l’uomo ha espresso l’esigenza di rappresentare se stesso: la propria fisicità, ma anche la propria spiritualità; i caratteri distintivi della propria individualità, così come i riti sociali collettivi della comunità di appartenenza. Attraverso le arti figurative, l’essere umano, oltre a rappresentare i propri simili ed il mondo attorno a sé, ha dato forma ai propri sogni e paure in infiniti modi diversi. Lungi da ambire ad essere un’antologia esaustiva sull’argomento, Magma 6 rappresenta un piccolo, parziale, compendio; una serie di prospettive affascinanti attraverso cui osservare un universo troppo complesso e poliedrico per poter essere abbracciato nella sua interezza.

Come avete scelto i contributor di Magma 6?

Dietro ogni numero di Magma Magazine c’è un attento lavoro curatoriale di selezione e composizione dei vari contenuti visuali che vanno a comporre un corpus narrativo eterogeneo ma al tempo stesso coeso. Ci interessava che all’interno di questo numero fosse rappresentato l’individuo, come singolo, sia a livello introspettivo che estrinseco,  così come il gruppo, la comunità, la moltitudine. In particolare, indagare su ciò che di soggettivo traspare dalle varie rappresentazioni dell’essere umano: i risvolti psicologici che alcune immagini riecheggiano in noi, la possibilità di riconoscersi pur sempre in un indefinibile comune denominatore che ci accomuna come specie, anche nell’estrema, bellissima, diversità delle nostre innumerevoli espressioni. 

Magma 6 si apre con una sorta di introduzione visuale composta da alcune immagini che hanno a che fare sia con l’arte che con l’esplorazione spaziale, qual’è il nesso?

Il numero si apre con un dettaglio di una famosa incisione di Albrecht Dürer del 1504, rappresentante Adamo ed Eva, che coniuga la ricerca del “nudo perfetto” dell’antichità, corrispondente ad un sistema di proporzioni e misure, con elementi allegorici dal forte simbolismo medievale. All’incisione sono sovrapposti alcuni elementi grafici raffiguranti degli spermatozoi, estrapolati da uno dei diagrammi inviati con le sonde Voyager 1 e 2 nello Spazio profondo, con l’intento di informare possibili civiltà extraterrestri sulla nostra esistenza. Abbiamo quindi, qui come in altre immagini a seguire, la rappresentazione dell’essere umano, delle sue origini, dalla sua genesi. La contaminazione di aspetti fisici/spirituali, religiosi/scientifici all’interno di una raffigurazione su più livelli. Le illustrazioni, gli schemi, i diagrammi scientifici affidati alle sonde spaziali della NASA negli anni 70, rappresentano lo sforzo -vano- di distillare l’essenza dell’essere umano in informazioni veicolate attraverso una serie sommaria ed arbitraria di immagini a cui fanno da contraltare le raffigurazioni “anatomiche” con cui l’origine dell’uomo e dell’intero universo viene rappresentata dall’arte, a ritroso fino alla preistoria: da “l’origine del Mondo” di Courbet (1866), a “la nascita della via lattea” di Tintoretto (1575), fino ad arrivare alla Venere di Hohle Fels, risalente a 41000 anni fa, ritenuta il primo esempio conosciuto di raffigurazione di un essere umano. 

“Adam and Eve”, Albrecht Dürer, 1504

L’aspetto interessante che emerge è che, per quanto sia impossibile abbracciare pienamente l’immensa complessità della realtà umana attraverso le immagini, anche nella diversità delle innumerevoli sfaccettature in cui si manifesta l’essenza della nostra specie è sempre possibile trovare un minimo comune denominatore che ci unisce e ci permette di riconoscerci sempre gli uni negli altri. 

Qual’è il filo conduttore che lega le immagini che popolano le pagine di questo numero del Magazine?

Che si tratti, ad esempio, delle immagini spensieratamente divertenti del lavoro di Giulia Mangione, o della dirompente, disperata energia che zampilla dalle scene da bar immortalate da Klaus Pichler, piuttosto che dai caleidoscopici racconti cristallizzati nella moltitudine di corpi dell’indagine fotografica dalle mandria umana condotta da Massimo Vitali, o del romanticismo dai colori vibranti di quelli dei travestiti di Lapa, scattati da Ana Carolina Fernandes, passando per gli scultorei, algidi ritratti patinati di Justin Dingwall, fino ad arrivare all’oscuro ed inquietante immaginario di Roger Ballen, ed all’onirica arcadia immaginata da Athi-Patra Ruga, l’essere umano è colto in tutta la sua fragilità e precarietà/transitorietà; ci appare come essenza indefinibile, inafferrabile, estremamente mutevole, e per questo costituisce un universo incredibilmente affascinante da esplorare pur rimanendo sempre, alla fine, inevitabilmente insondabile. Queste sommarie esplorazioni visive del “territorio umano” ci restituiscono una serie di mappe dai confini sfumati, in cui i singoli individui tracciano le proprie brevi parabole di vita, interconnessi da fili invisibili a sistemi collettivi articolati e complessi, che sembrano tendere ad un sempre maggiore livello di entropia; la stessa che governa l’evoluzione dell’intero universo.